Piattaforma: PC Data di uscita: 20 gennaio 2016
Homeworld era qualcosa di magico. Nel 1999 la Relic Entertainment rilascio con Sierra uno dei migliori giochi di strategia in tempo reale mai realizzati. Per il tempo aveva un doppiaggio ottimo, un’enfasi sulla storia decisamente marcata, musiche oniriche e fenomenali ed è tutt’oggi uno dei pochi giochi strategici in vero 3D, avendo a che fare con astronavi nello spazio che si muovevano su tutte e tre le direzioni. Homeworld è un gioco magico. Se si analizza in modo asettico ed oggettivo non è il miglior RTS in giro. Ma le emozioni, i feels, che regalò furono tanti. All’improvviso nel 2010, la Blackbird interactive, formata da ex Relic e fagli ideatori di Homeworld, presentarono un sequel spirituale: Hardware Shipbreak. Per una serie di fortunati eventi, Gearbox acquisitò la licenza Homeworld da THQ e si mise d’accordo con Blackbird per rendere questo nuovo gioco un nuovo Homeworld. E così arriva Deserts of Kharak. La magia sarà ancora quella?
Homeworld….. sulla terra
La preoccupazione dei fan all’inizio fu una sola: come è possibile ricreare la magia e l’esperienza Homeworld su di un pianeta? Ebbene, ci sono riusciti benissimo. Nel momento stesso nel quale avvierete il gioco, vi sentirete a casa. Musica orchestrale dello stesso tipo dei vecchi giochi, bellissime sequenze disegnate a mano che si fondono con il gameplay ed il motore di gioco, i nomi delle persone, delle cose e quella fatidica missione che cambiò tutto.
Seguirete le avventure della portaerei terrestre Kapisi, creata con l’unione delle tribù del nord, tra le quali spicca quella dei S’jet, nell’intento di andare a recuperare un artefatto al centro del deserto, chiave della sopravvivenza su questo pianeta deserto. Lungo il percorso verrete ostacolati dai seguaci di Sajuuk, che vi reputano degli eretici perché avete infranto il dettame del loro dio. Il volere dei clan del nord di ritornare alle stelle, di fuggire da questo pianeta porterà rovina e distruzione. Chi ha giocato al primo Homeworld sa come tutto andrà a finire. Per certi versi manca la tensione di scoprire cosa accadrà alla fine di tutto per i veterani. In ogni caso i personaggi ed il modo con il quale sono presentati ricalca alla perfezione quello dei vecchi capitoli e vi saprà prendere, vi terrà impegnati fino alla fine. Nulla di rivoluzionario, nessun colpo di scena inaspettato ed i personaggi non evolvono nel tempo, ma tutto è fatto per ricreare l’atmosfera giusta, anche se in questo caso troviamo un’enfasi più sui personaggi che sulle razze, come invece era nell’originale. Le 12 missioni della campagna principale scorrono però veloci, durando una mezz’oretta l’una in media, ed il pacchetto sembra un po’ più asciutto del solito, un po’ troppo veloce.
Il centro delle vostre armate è la Kapisi e meccanicamente si discosta leggermente dai vecchi giochi perché in questo caso assume un ruolo più attivo. Anche se, come la nave madre, questa portaerei è il vostro centro di produzione truppe e casa dei protagonisti, il suo ruolo in battaglia è molto più attivo. Ha a disposizione di un armamento niente male, è in grado di riparare le truppe che le sono vicine ed è la piattaforma di lancio degli aereomobili. Il suo ruolo è molto più centrale a livello di gameplay oltre che narrativamente. Per bilanciare il tutto è stato scelto di dotarla di un sistema di amministrazione di energia tra i vari sottosistemi.
Magia
La magia di Homeworld era anche nelle sue unità, come esse si muovevano, come era possibile osservarle in movimento con la telecamera ed ammirarne le danze. Un po’ di questo si è perso per via della mancata tridimensionalità, ma la grinta, il dinamismo e le strane proporzioni sono rimaste. Non esiste la fanteria, ma solo unità veicolari. Impossibile non vedere analogie spaziali. Le piccole unità leggere da combattimento si muovono come caccia, salendo e scendendo dalle dune, creando traiettorie circolari intorno ai nemici, cercando di essere il più sfuggevoli possibile. Grossi incrociatori di terra cannoneggiano da lontano i nemici, muovendosi lentamente, impassibili, esattamente come gli incrociatori spaziali. La cura nel dettaglio di ogni singola unità è elevato. Mi è capitato più volte di vedere i veicoli d’assalto leggero compiere dei salti ed atterrare violentemente quando scendono dalle dune e le unità tra di loro chiacchierano moltissimo, chiedendo status di riparazione, cosa vedono i sensori o parlano del più e del meno. Questo da un livello di personalizzazione e di attaccamento non da poco. Anche meccanicamente questo aspetto è rafforzato dal sistema di veterancy. Le unità accumulano esperienza e salendo di livello diventano più efficaci sul campo di battaglia e non solo: acquistano un nome proprio, che indica di solito il comandante o pilota del mezzo. Considerando che le risorse ed i vostri veicoli non si resettano da mappa a mappa, ma si conservano, ecco che il proprio esercito diventa la propria famiglia. Se in altri RTS si ha l’istinto di mandare tutto alla distruzione, tanto nel prossimo livello si inizia di nuovo da 0, qui no. Bisogna agire tatticamente, sfruttare le dune per offrire vantaggio o oscurando la linea di tiro nemica o semplicemente attaccando da posizione elevata. Le unità sono tra di loro in una relazione quasi sasso-carte-forbice e se non avete le unità giuste come counter verrete decimati ed avere una composizione varia e flessibile è la chiave per la vittoria.
Le unità aeree sono limitate e tutte gestite dal vostro incrociatore e anche le loro animazioni sono fantastiche. Quando si lanciano degli strike craft questi partono a tutta velocità dalla rampa di lancio della Kapisi, arrivano sul bersaglio, sganciano le loro bombe e ritornano alla base, appoggiandosi di nuovo sull’incrociatore in VTOL. Il loro uso è estremamente strategico e se nelle prime missioni possono essere abusabili, appena gli avversari dispiegheranno unità anti aeree, occorrerà fare attenzione e studiare al meglio il loro uso. La difficoltà della modalità storia a normale risulta molto fattibile tranne l’ultima missione, dove c’è un picco non indifferente e bisogna arrivarci ben preparati. Tutto l’impianto di gameplay si traspone anche nel multiplayer, che mette contro le due razze della campagna in poche mappe. Non è la modalità principale e sembra più un sovrappensiero, ma la modalità dove le due fazioni si battono per recuperare artefatti è interessante e sa divertire.
Graficamente il gioco è stupendo, anche se l’ambientazione deserta spinge alla monotonia e purtroppo bisogna farci l’abitudine. È anche abbastanza pesante, con il framerate che scende anche sui 15 frame su un PC di tutto rispetto con una GTX970. Il mio consiglio è di non giocarci tutto al massimo, ma di fare attenzione ai livelli di dettaglio.
Il problema è che… è poco. Sa di poco. Il design delle missioni in single player è standard, osa poco, ed è il peccato maggiore. Quando esiste qualcosa come Starcraft II che ti tiene sempre sull’allerta e stupisce sempre con un design da capogiro, Homeworld esce fuori sconfitto, stanco, attaccato al passato. Per i fan di Homeworld è qualcosa di imprescindibile, per gli altri è solo un buon RTS.
Stay Classy, Internet
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